San Calò

Mi sono ritrovata anni fa a fotografare questa processione ad Agrigento, con alcuni amici fotografi. Come spesso accade al Sud, enorme è la partecipazione dei cittadini, in questo caso per un Santo che non è il loro Patrono, ma che venerano come se lo fosse. I bambini sono issati pericolosamente verso il cielo, a toccare la statua del santo mentre percorre le strade del centro, come forma di benedizione. Tamburiate, bande musicali, carri , rendono questo evento allegro e popolare, una vera festa collettiva.

“Le feste religiose rappresentano un topos molto frequentato dalla fotografia. Non c’è celebrazione che non solleciti la curiosità del fotografo che, se sensibile e attento, vi coglierà non soltanto l’aspetto devozionale – che pure esiste ed forte – ma una connotazione antropologica che, nelle sue manifestazioni, rinuncia alla dimensione spirituale per abbracciarne una più materialista. Questo ci conduce ad alcune considerazioni riguardanti la natura stessa di una festa religiosa, e circa il rapporto che i fedeli intrecciano con il santo patrono o un santo particolarmente amato. Patrizia Galia, con un appassionante reportage sulla festa dedicata a san Calò – siamo ad Agrigento – si è immersa in una esplosione esistenziale, nella quale ogni fedele cerca, intreccia o consolida un rapporto privilegiato con il santo, raccomandandosi un aiuto, una benedizione, la guarigione da un malanno e persino un impiego. Questo rapporto carnale con la santità, diretto, esclusivo non deve meravigliare. Se da un lato la folla di fedeli si riconosce all’interno della liturgia della ritualità, componendosi come un corpo unico adorante, dall’altro si cerca un contatto privato, una speciale udienza, una raccomandazione insomma – si osservino con attenzione le foto dove i bambini vengono esposti all’attenzione del santo. È qui che la metafisica spirituale lascia il posto a quello che Renan chiavava “il materialismo della fede”, quel momento cioè in cui il fedele “con un occhio guarda al Santo e con l’altro al serpente”. E difatti lo sguardo della fotografa siciliana, una volta esplorati gli aspetti più classici in una festa religiosa, è colpito proprio dai momenti caratterizzanti il rapporto tra spirito e materia alla sua fondazione. Posta alla confluenza di aspettative, Patrizia Galia registra sussulti e speranze tra passione e devozione, cosicché nelle foto vediamo un’intera comunità di fedeli farsi un corpo unico gioire e soffrire allo stesso tempo. Se le feste religiose continuano a esercitare un’attrattiva, nonostante siano rappresentate da molti fotografi, professionisti e dilettanti, è perché non hanno perduto interesse in chi vi assiste come in quanti vi partecipano attivamente. Esse sono, come abbiamo visto, un topos che si fa linguaggio, un evento che si staglia sul rumore di fondo della contemporaneità e lì vi risiede con tutto il suo portato simbolico, con tutta la sua ritualità. Al fotografo non resta che la responsabilità del racconto. Patrizia Galia ha saputo narrare una storia antica e sempre nuova con la sensibilità che le riconosciamo in altri lavori, imponendo ancora una volta la sua cifra distintiva. Giuseppe Cicozzetti”


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